Vita in Abbondanza

venerdì 1 febbraio 2019

Il rimedio divino contro il senso di colpa: il perdono!


Oggi parliamo del senso di colpa dal punto di vista biblico. Esso è un sentimento spiacevole che deriva dalla convinzione di aver danneggiato qualcuno. Se elaborato in modo costruttivo porterà ad intraprendere azioni riparatrici e a rafforzare i rapporti compromessi. 

Il senso di colpa può essere però anche estremamente distruttivo per la vita emotiva. Per capire meglio abbiamo bisogno di tornare indietro al “Giardino dell’Eden”, quando Adamo ed Eva decisero di prendere il controllo della loro vita distaccandosi da Dio e non fidandosi di Lui. Da quel momento caddero in modo strepitoso. Il primo sentimento negativo che sorse fu la paura. Il senso di colpa è associato alla paura. Il senso di colpa è la paura per aver fatto qualcosa che sappiamo ha danneggiato noi, Dio e gli altri. 

Cosa fecero Adamo ed Eva quando si resero conto di aver sbagliato? Si nascosero dietro gli alberi, in qualche modo fuggirono dalla realtà anziché affrontarla. Non volevano essere visti in quello stato di vergogna. Vi rendete conto di quanto sia pregiudizievole il senso di colpa? Per primo ti allontana dalla luce, dopo ti porta nelle tenebre e ti fa vivere in penombra, nascosto dietro gli “alberi”. 

La penombra è un misto di luce e buio, non è completamente luce e non è completamente buio; non c’è chiarezza nella vita di una persona che porta il peso del senso di colpa. La persona che vive in questo stato da un lato preferisce fuggire e dall’altro inizia ad accusare l’altro. La migliore auto difesa è il meccanismo di proiezione: accusi l’altro perché nessuno si renda conto del tuo limite, del tuo problema, del tuo sbaglio; in senso biblico, del tuo peccato.

Per liberarsi del senso di colpa esiste solo una via d’uscita: il perdono.
E per ricevere il perdono l’unica via è il pentimento, riconoscere semplicemente di aver sbagliato. Dio è molto più pronto a perdonare di quanto non lo siamo noi a riconoscere i nostri errori. 

Quando si ha paura di affrontare la realtà e riconoscere il proprio errore si ricorre spesso a soluzioni ingannevoli quali il rifugio nell’alcol, vizio, cibo, distrazioni di vario genere, il troppo lavoro, l'indifferenza, l'isolamento, pur di evitare di riconoscere lo sbaglio e rimediare. Purtroppo però le suddette soluzioni sono soltanto una via di fuga momentanea che sfociano nell’insoddisfazione e nella disperazione. 

Nella Bibbia troviamo la storia di Giuseppe e i suoi fratelli. Giuseppe venne venduto da loro come schiavo agli egiziani per invidia (Genesi 37). Dopo essersene liberati per nascondere la grave infamia presero la veste della quale lo avevano spogliato e ucciso un capro la immersero nel suo sangue. Fecero così intendere al padre che era stato sbranato da una bestia.

Per tutta la vita vissero nel senso di colpa, per non ammettere lo sbaglio commesso e dire la verità si nascosero dietro le loro bugie, le quali aggravarono il loro peso. Ogni volta poi che le cose andavano male nella loro quotidianità, il senso di colpa saltava fuori perché pensavano che quella era la conseguenza del loro peccato.

Il peccato è così. Possono passare gli anni ma quando rimane inconfessato, continua a bussare alla tua porta facendoti sentire in colpa per quello che hai fatto e facendoti pensare che è Dio che ti sta castigando e che non meriti di essere felice.
Fortunatamente i fratelli di Giuseppe si incontrarono con lui molti anni dopo quando a causa di una grave carestia furono costretti a recarsi in Egitto per fare provviste di viveri, dove Giuseppe era diventato nel frattempo il governatore del paese (per la storia completa leggete Genesi dal capitolo 42-45).

Quando Giuseppe si fece riconoscere dai suoi fratelli loro reagirono con sgomento, furono grandemente turbati, impauriti. 

“Quindi Giuseppe disse ai suoi fratelli: io sono Giuseppe, mio padre è ancora in vita? Ma i suoi fratelli non gli potevano rispondere perché erano sgomenti alla sua presenza”. (Genesi 45:3)

Gli sbagli commessi ci portano ad avere paura delle conseguenze ma quando confessiamo i nostri torti e li riconosciamo, il perdono ci libera dal senso di colpa e ci ridona la pace. Giuseppe aveva perdonato i suoi fratelli e questo li liberò dal senso di colpa. Dio è sempre pronto a perdonarci ed accoglierci se solo ci fidiamo di riconoscere davanti a Lui le nostre debolezze, i nostri fallimenti, i nostri sbagli e gli chiediamo di aiutarci a rimediare, di rialzarci e ricominciare da quel preciso istante. 

“Molti sono i dolori dell’empio, ma chi confida nell’Eterno sarà circondato dalla sua benignità”. (Salmo 32:10)

Quali sono i dolori dell’empio? Sono i pesi che si porta addosso. Ma chi confida nell’Eterno sarà circondato dalla sua benignità. Dio vuole perdonarci e ridarci la pace. Non c’è sbaglio così grande al quale Lui non possa rimediare per il nostro bene. A noi spetta andare a Lui con fiducia, riconoscere senza cercare giustificazioni che abbiamo sbagliato e chiedergli di mettere in noi il desiderio di relazionarci con Lui quotidianamente per essere trasformati a sua immagine e non ricommettere quell’errore, anzi abbandonarlo.
Dio è desideroso di ricostruire i nostri sogni, i nostri progetti, Egli vuole donarci la serenità e la gioia. 

“Non ci tratta secondo i nostri peccati,
non ci ripaga secondo le nostre colpe.
 Come il cielo è alto sulla terra,
così è grande la sua misericordia su quanti lo temono;
come dista l'oriente dall'occidente,
così allontana da noi le nostre colpe.
Come un padre ha pietà dei suoi figli,
così il Signore ha pietà di quanti lo temono.
Perché egli sa di che siamo plasmati,
ricorda che noi siamo polvere”. (Salmo 102:9-14)

Il senso di colpa è utile solo in un primo momento, quando ci aiuta a riconoscere che abbiamo sbagliato e che quell’errore ovviamente fa del male a noi stessi, a Dio e agli altri che lo hanno subito. Da quel momento le azioni da compiere sono: riconoscere umilmente l’errore, chiedere perdono, impegnarsi a rimediare e chiedere a Dio di cambiare la nostra natura affinché abbandoniamo quell’atteggiamento, quel pensiero, quel modo di agire e reagire che abbiamo riconosciuto come sbagliati.

Ci sono invece tre modi sbagliati di affrontare il senso di colpa:
  • ·         Reprimerlo. Quindi non ammettere l’errore. Questo toglierà in noi la pace fino a farci stare male anche fisicamente.
  • ·         Dire semplicemente “mi dispiace”, “scusami”, “perdonami”. Questo non significa riconoscere la serietà dello sbaglio commesso e pentirsi veramente. Ci pentiamo veramente quando come detto sopra rimediamo e cambiamo atteggiamento.
  • ·         Si possono avere dei rimorsi ma questo non significa pentirsi. Il rimorso è pericoloso perché se alimentato può portare a gravi conseguenze, anche al suicidio. Il pentimento vero invece ti porta a riconoscere e ripartire con la pace nel cuore.
Quando confessiamo uno sbaglio per Dio è già perdonato. Quello di cui abbiamo bisogno è semplicemente mantenere una relazione quotidiana con il Padre. Più sarà profonda la nostra relazione con Dio, migliori saranno le nostre relazioni interpersonali con i familiari, il coniuge, gli amici, e persino i nemici.

Essere un cristiano è svegliarti ogni giorno e ritagliarti del tempo per relazionarti con Cristo, imparare da Lui, portare a Lui i tuoi pesi, le tue paure, i tuoi vuoti, i tuoi sensi di colpa, i tuoi limiti, i tuoi affanni, la tua malattia (fisica), le tue infermità (emotive) e trovare in Lui riposo, cibarti della sua parola e vedere il frutto manifesto nella tua vita e nelle tue relazioni interpersonali. 

“Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo. Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre; poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero”. (Matteo 11:28-30).

giovedì 17 gennaio 2019

IL VALORE DELLA LEGGE DIVINA COME LIBERAZIONE DA TUTTO CIO' CHE OPPRIME, DISORIENTA, CONFONDE



Avvertiamo ormai nella nostra società un disorientamento diffuso tutto intorno. Si cercano nuovi valori, si fa difficoltà a trovare punti di riferimento stabili, ciò che prima era inaccettabile oggi è cosa comune. La morale viene accusata di alienare l’uomo mentre la trasgressione ha preso il posto anche del rispetto reciproco, la fame del trionfo personale ad ogni costo ha fatto dell’egoismo una virtù.

La nostra natura pur riconoscendo la necessità urgente di un ordine, resiste tuttavia alle restrizioni. Desideriamo che gli altri rispettino la legge quando ci conviene, ma ci disturba osservarla a nostra volta. Non possiamo però ignorare che la legge è la disciplina necessaria perché possiamo ricevere una formazione. Le contraddizioni dell’essere umano, diviso tra desideri e debolezze, richiedono una pedagogia della legge che ci insegni a regolare le nostre relazioni con gli altri. 

Così come le leggi dello spazio agiscono sull’universo e gli astri, gli atomi, la materia, l’energia si reggono su leggi fisiche immutabili che se violate scatenerebbero processi di distruzione irreversibili; così come le leggi della vita sono immutabili, regolano la nascita, la crescita, la riproduzione tanto della cellula vegetale più elementare che dell’essere umano e sappiamo che la violazione delle leggi biologiche porta con sé sofferenza, degenerazione, malattia e morte; allo stesso tempo le leggi dello spirito (per una lettura completa leggete nelle vostre Bibbie in Esodo 20:1-17/ Deuteronomio 5:6-21) sono relazionate con la vita e reggono la sfera più elevata della realtà umana: il nostro senso del bene, la verità, la bellezza, il nostro pensare, il nostro agire, il nostro desiderare, amare e creare. 

Le leggi divine sono immutabili, impossibili da eludere, Dio che ci ha dato un codice genetico per garantire la permanenza delle nostre strutture biologiche, ci ha dato anche un “codice etico” per aiutarci a strutturare in modo sicuro i valori della nostra coscienza. Sono regole del gioco della nostra esistenza e trasgredirle significa entrare in conflitto con l’essenza stessa della vita, ecco perché tanto disorientamento oggi. 

Ecco che il “Decalogo: dal greco deka – dieci e logos – parola” ossia i “Dieci Comandamenti” scritti con il dito di Dio e dati a Mosè sul Sinai non è tanto un insieme di ordini, ma un orientamento. Più che una legge pura e semplice è un cammino che ci viene posto davanti perché lo seguiamo, esso che potrebbe apparire un vincolo, un tentativo di rendere schiavo l’uomo, è invece per paradosso un orizzonte di libertà voluto da Dio. Ci sono almeno tre significati di “liberazione” presenti nel decalogo:

1.     Esso ci libera innanzitutto dall’incertezza riguardo al fare, dall’angoscia di non sapere che cosa dobbiamo fare.
2.     In secondo luogo ci libera da tanti sentimenti negativi che albergano facilmente nel cuore dell’uomo e che lo rendono schiavo: si può dire che si impossessano di noi e noi diventiamo “strumenti” di questi sentimenti negativi che sono ostili nei confronti del prossimo.
3.     E infine il decalogo ci orienta verso l’amore. Amore per Dio, per la vita, per il prossimo. 

Che cos’è allora veramente il “Decalogo”? E’ un insieme di proibizioni di Dio per noi viste quindi come la privazione della nostra libertà? O è invece la vera libertà che ci mette davanti Dio, la vera liberazione da quella schiavitù che ha a che fare con il “culto della creatura” che si sostituisce al Creatore?
Perché il “peccato”, o se ci disturba tanto questa parola, possiamo dire il malessere, l’insoddisfazione, il disorientamento, la mancanza di pace, di serenità, di vera realizzazione, non è altro che il “rifiuto di Dio”; il rifiuto della sua buona volontà per la felicità dell’uomo; la mancanza di fiducia nella Sua Parola; il volere fare a modo nostro; il volere stare al centro dell’universo; il volere prendere il posto del Creatore; il volere considerarsi capaci di esercitare una buona “giustizia” senza la guida di Dio; in due parole: “egocentrismo” ed “egoismo”. 

Non deve sorprendere se oggi abbiamo perso il controllo della situazione, se viviamo in un mondo in cui c’è la lotta per la sopravvivenza, il più forte prevale sul più debole, chi possiede  e chi gestisce il potere si arroga il diritto di dominare sull’altro, la libertà personale va difesa a tutti i costi anche se questo significa mancare di rispetto all’altro, al prossimo.

Ecco allora che il “ritorno alla legge assoluta di Dio” è necessario per stabilire lo spazio entro il quale la nostra libertà va esercitata nel rispetto dei nostri simili. La vera libertà va imparata.
Ecco allora che desiderare con tutto il cuore di tornare a camminare nelle vie di Dio (le sue leggi, i suoi comandamenti) significa tornare a fidarsi di Dio, riconoscere che senza di Lui non possiamo fare nulla (Giovanni 15:5) – nulla di buono si intende – perché senza Dio ne facciamo tante di cose… ma rimangono più che discutibili.
Ecco che allora il decalogo fonda le relazioni sull’armonia che è il criterio di tutte le relazioni corrette tra Dio, l’uomo e il prossimo. 

La persona umana vive all’interno di complesse relazioni. L’uomo fa parte di una famiglia, di un’unità politica, di una comunità religiosa e ad esse è legato da complesse trame affettive, economiche e sociali. Quindi è “giusto” tutto ciò che promuove l’insieme di queste relazioni in una direzione corretta. In questo modo, la giustizia di Dio non indica tanto la sua capacità di giudicare il trasgressore ma piuttosto la volontà di pace e armonia per gli uomini, così come il valore della fedeltà alla sua parola, in ogni circostanza della vita. 

Il decalogo, nonostante la sua brevità, entra in tutti gli aspetti della vita. Esso inoltre non ci tratta come trasgressori ai quali bisogna imporre delle norme ma come uomini liberi e intelligenti capaci di scegliere la via giusta che Dio ci pone davanti. È come sentirci dire: “ti amo così tanto che ti ho creato libero e tu dovrai scegliere da solo ma desidero con tutto me stesso che tu scelga la vita. Abbi fiducia in me. Il male in tutte le sue forme, conduce alla morte e tu non puoi comprendere il rischio che corri”. 

In un modo speciale, il decalogo ci insegna che se desideriamo realizzarci pienamente come essere umani, dobbiamo seguire le proposte divine.
I Dieci Comandamenti sono dieci parole di libertà, per una relazione pura e vera con Dio e con il prossimo. Chi comprenderà queste parole come la voce dell’amore, non le percepirà come restrizioni ma come “liberazione”.

Nelle prossime riflessioni andremo quindi ad analizzare ognuno di questi comandamenti e l’implicazione pratica che hanno per la nostra quotidianità. Se vogliamo liberarci da ogni frustrazione, insoddisfazione, dubbio, incoerenza, rabbia… diamo una possibilità a Dio, facciamo esperienza del Suo amore, un’esperienza che può scaturire solo nella “conoscenza” che di Lui abbiamo attraverso la Sua parola. 

E se qualcuno non l’ha ancora conosciuto o pensa che non esista, si dia almeno una possibilità, in questo mondo ormai alla deriva, se ne cercano tante di soluzioni, si è disposti a provare di tutto e spesso a nostro svantaggio, con risultati pessimi; perché allora non provare quella che potrebbe essere la vera soluzione? Perché non iniziare a camminare in questo sentiero per molti sconosciuto ma che conduce alla vera vita? 

Spero che queste parole, anche nel cuore più ferito, più stanco di lottare, più stanco di credere che ci sia ancora qualcosa in cui sperare, possano fare nascere anche il più piccolo “sospetto” che forse, in fondo in fondo, se davvero lo vogliamo e lo cerchiamo Dio c’è e il cammino che ci pone davanti è davvero per il nostro bene:
“Questo comandamento che oggi ti do, non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: Chi salirà per me in cielo, per prendercelo e farcelo udire in modo che lo possiamo eseguire? Non è al di là del mare, perché tu dica: Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché lo possiamo eseguire? Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca  e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica” (Deuteronomio 30:11-14).
                                                                                             Continua….

lunedì 18 giugno 2018

Il rimedio divino contro lo stress


Cari lettori eccoci al quarto studio sulla bibbia e le emozioni umane. Oggi parleremo del piano divino per lo stress, la fatica, l’esaurimento nervoso.

Lo stress è un stato di tensione nervosa causato dall’eccesso di lavoro, dalle aspettative che a volte non vengono soddisfatte, dalle difficoltà, dalle afflizioni della vita. Lo stress si manifesta generalmente attraverso una serie di reazioni che vanno dalla fatica prolungata e l’esaurimento nervoso fino al mal di testa, gastrite, ulcera e in alcuni casi anche disturbi psicologici.
In una società come la nostra è chiaro che non possiamo esseri completamente liberi dai fattori che causano stress ma possiamo imparare ad alleviare questa emozione negativa, a gestirla in qualche modo.

Uno dei personaggi biblici che è stato vittima di stress è Elia. Un uomo di Dio che a un certo punto è stato influenzato negativamente dalle lotte e dai problemi costanti che la vita presenta.
Elia era stato chiamato da Dio in un momento molto difficile in cui l’idolatria si era diffusa in tutto Israele. Il re Acab si era sposato con una donna pagana di nome Iezabel, il cui obiettivo era quello di corrompere il popolo affinché non adorasse il vero Dio. In tutto il popolo d’Israele era stato istituito tutto un sistema completo di adorazione a Baal ed Elia aveva il compito difficile di portare a ravvedimento il popolo di Dio. La storia completa la possiamo leggere in 1 Re 16,17,18. 

Elia cominciò il suo mandato annunciando una terribile siccità su Israele e questo era già un affronto che includeva un grande pericolo perché anche se Acab era il re, a governare era sua moglie. Nessuno poteva affrontare questa donna senza subirne le conseguenze, per cui questa notizia da parte di Elia era un fattore distruttivo per lui. Fu costretto a fuggire. Dio ordinò ad Elia di nascondersi presso il torrente Cherit e lì il Signore lo sfamò attraverso i corvi che gli portavano pane al mattino e carne alla sera. Elia non fu mai abbandonato dal Signore ma nonostante questo la sofferenza era presente nella sua vita. Immaginate come si poteva sentire nel vivere come fuggiasco e nell’essere costretto a nascondersi.

Quando finì anche l’acqua del torrente a causa della siccità Dio lo condusse a Sarepta dove una vedova gli diede cibo in modo miracoloso con una manciata di farina e un po’ d’olio che per mano di Dio non finivano mai. Vi rendete conto di come Dio aveva cura del suo servo?
Dopo un po’ di tempo avvenne anche che il figlio della vedova morì ed Elia fu usato come strumento di Dio per resuscitarlo. E ancora Elia affrontò da solo i quattrocentocinquanta profeti di Baal sul monte Carmelo; la sfida era vedere chi era il vero Dio che mediante il fuoco avrebbe consumato l’olocausto. I profeti di Baal invocarono inutilmente Baal ma Dio diede ad Elia la vittoria facendo scendere dal cielo un fuoco che consumò l’altare che aveva costruito con sopra l’olocausto, nonostante fosse inzuppato di acqua. 

La vita del profeta non era solo una successione di vittorie, anche se godeva continuamente delle benedizioni di Dio, egli affrontava comunque la sofferenza, il dolore e l’afflizione. Subito dopo la morte dei profeti di Baal, Elia fu nuovamente costretto a fuggire e se ne andò verso Oreb perché Iezebel voleva ucciderlo. Leggiamo quanto riportato in 1 Re 19:4:

“Egli invece si inoltrò nel deserto una giornata di cammino, andò a sedersi sotto una ginestra e chiese di poter morire, dicendo: - Ora basta, o Eterno! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri”. 

Io non so se vi siete mai soffermati a pensare, mi chiedo che turbinio di sentimenti stava provando Elia per arrivare a desiderare di morire. Desiderare la morte è l’estremo di una situazione di stress. La persona sente che non ha più forze per andare avanti, che non vale più la pena continuare a lottare ed Elia era un uomo di Dio. Cosa voglio dire con questo? Non disperare, non ti sentire un peccatore finito solo perché nella vita qualche volta sei arrivato a pensare che non vale più la pena lottare. È bellissimo leggere ciò che dice Giacomo del profeta Elia. Nel libro di Giacomo 5:17,18 leggiamo:

“Elia era un uomo sottoposto alle stesse nostre passioni, eppure pregò intensamente che non piovesse e non piovve sulla terra per tre anni e sei mesi. Poi pregò di nuovo, e il cielo diede la pioggia e la terra produsse il suo frutto”.

Elia era un uomo simile a noi nelle nostre stesse passioni, eppure Dio lo usò in modo straordinario come Suo strumento. Questo significa che se anche cadiamo come esseri umani, questo non significa che non valiamo più nulla o che siamo a quel punto messi da parte per sempre. Quando attraversiamo questi momenti è necessario che Dio si prenda cura di noi e curi le nostre ferite.
Nel caso di Elia leggiamo ciò che Dio fece per lui in 1 Re 19:5-8:

“Poi si coricò e si addormentò sotto la ginestra; ma ecco un angelo lo toccò e gli disse: - Alzati e mangia. Egli guardò e vide vicino al suo capo una focaccia cotta su delle pietre calde e una brocca d’acqua. Egli mangiò e bevve, poi tornò a coricarsi. L’angelo dell’Eterno tornò una seconda volta, lo toccò e disse: - Alzati e mangia, poiché il cammino è troppo lungo per te. Egli si alzò, mangiò e bevve, poi, con la forza datagli da quel cibo, camminò quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Horeb”.

Dio diede dei rimedi ad Elia: riposo, cibo e intenso esercizio fisico (Elia camminò per quaranta giorni e quaranta notti). Un trattamento comune per lo stress si chiama “piano di attività”. Consiste nel pianificare un orario ben preciso con attività di svago e obbiettivi da raggiungere (partire sempre da piccoli obbiettivi: quotidiani, settimanali, poi mensili e cosi via). Questo tipo di organizzazione aiuta la persona vittima di stress ad evitare di vittimizzarsi e reagire per riempire il suo tempo in modo positivo. L’esercizio fisico è un altro modo di alleviare lo stress (una passeggiata, un giro in bici, un’ora di palestra).  

Vediamo adesso qual è il modo per prevenire lo stress secondo Gesù. Leggiamo ciò che è scritto nel vangelo di Marco 6:31:

“Ed Egli disse loro: - Venitevene in disparte in un luogo solitario e riposatevi un po’. Poiché era tanta la gente che andava e veniva, che essi non avevano neppure il tempo di mangiare”.

Che situazione difficile! Quante volte vi capita di non avere tempo nemmeno per mangiare e se a volte si arriva al punto di non avere tempo per mangiare, non si avrà tempo nemmeno per la famiglia, per il fidanzato, per la fidanzata, per il riposo, per gli amici, e ancora più improbabile sarà aver tempo per Dio, per la preghiera, per lo studio della Bibbia. Il risultato sarà la separazione dalla fonte del potere e della salute che è Gesù Cristo. 

Gesù visse una vita quotidianamente piena di impegni ma tutti i giorni trovava il tempo per ritirarsi in preghiera e comunione con Dio e questa era la sua forza per gestire tutte le sofferenze e i problemi di ogni giorno. In atti 10:38 leggiamo:

“Come Dio abbia unto di Spirito Santo e di potenza Gesù di Nazaret, il quale andò attorno facendo del bene e guarendo tutti coloro che erano oppressi dal diavolo, perché Dio era con lui”.

Anche il servizio verso gli altri è un buon metodo per renderci conto che non siamo solo noi ad avere problemi, quando ci apriamo al prossimo scopriamo che la sofferenza è dappertutto e nel prenderci cura dell’altro ci dimentichiamo dei nostri problemi. È una medicina il servizio, è un fattore curativo aiutare gli altri. L’egoismo invece è un assassino crudele, pensi sempre di non avere abbastanza e più vuoi avere più cadi nella depressione. Quando invece impariamo ad essere grati per quello che abbiamo, quando decidiamo di mettere nelle mani di Dio le nostre preoccupazioni per trovare soluzioni ai nostri problemi, quando ricordiamo come Dio ci ha benedetti fino a qui, troviamo la motivazione per andare avanti e l’incoraggiamento che Dio agirà anche questa volta in un modo o in un altro. Concluso con il Salmo 34:7:

“L’angelo dell’Eterno si accampa attorno a quelli che lo temono e li libera”

lunedì 4 giugno 2018

Il rimedio divino contro l'ansietà


Cari lettori, siamo al terzo studio sulla bibbia e le emozioni umane. Oggi scrivo sul rimedio divino contro l’ansietà.
Ansietà è una parola molto usata ai nostri giorni. L’ansia può essere una reazione normale di fronte a diverse circostanze della vita, può anche essere un’emozione causata da una malattia o può essere una malattia in sé. Tutto dipende dal modo in cui la gestiamo.

Che cos’è realmente l’ansia? Per capirlo dovremmo parlare di un’altra emozione che è strettamente legata all’essere ansiosi, ed è la paura. La paura è un’emozione accompagnata da una serie di reazioni fisiche che compaiono non solo nell’essere umano ma anche in qualsiasi animale di fronte ad una situazione di pericolo. Se ad esempio ci troviamo coinvolti in un incendio o attaccati da qualche animale feroce, ci ritroviamo improvvisamente a provare una sensazione sgradevole che ci porta subito o a correre per scappare o - dipende dai casi - a difenderci lottando. 

I sintomi comuni dell’ansia e della paura sono: battiti e respirazione accelerati, i vasi sanguigni che si contraggono, diventiamo pallidi, siamo tesi, ci sentiamo affaticati, abbiamo difficoltà a concentrarci e viviamo in un eccessivo stato di allerta. Questa e altre reazioni vengono prodotte dalla paura senza che possiamo evitarle. 

Tutte queste reazioni sono causate da un ormone molto conosciuto chiamato “adrenalina”. In un primo momento una scarica di adrenalina può essere utile quando serve a darci la carica e il coraggio di reagire di fronte al pericolo come può essere un incendio dal quale dobbiamo scappare. Ma cosa ha a che vedere tutto questo con l’ansietà? L’ansietà è la paura per qualcosa che è relazionato con il futuro o un pericolo immaginario. Paura e ansia sono difficili da distinguere, la paura può essere momentanea ma l’ansia si può prolungare nel tempo. 

La domanda è: l’ansietà è la malattia del nostro secolo? La verità è che la vita non è esente dai pericoli e l’adrenalina ci dovrebbe aiutare di fronte ad essi. La psicologia afferma tutto questo ma quello che non accetta è che la paura e l’ansia sono emozioni sorte nel cuore dell’uomo come conseguenza della sua disubbidienza. La psicologia moderna cerca di giustificare il peccato, la bibbia afferma che la paura apparve subito dopo che Adamo ed Eva peccarono. 

In Genesi 3:6-10 leggiamo:

Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne mangiò.  Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture. Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l'uomo con sua moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. Ma il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto».

Adamo disse di aver avuto paura. Questo è il risultato del peccato. Da quel momento in poi tutti gli esseri umani sono nati portando nella loro natura questo sentimento della paura.
Oggi ci sono diversi tipi di paura. C’è gente che ha paura del buio, del rumore, del futuro, del passato, della vita, delle relazioni, del matrimonio, della morte. Nella Bibbia però troviamo promesse meravigliose che possono aiutarci ad affrontare la paura.

Salmo 23:4:
Quand'anche camminassi nella valle dell'ombra della morte,
io non temerei alcun male,
perché tu sei con me;
il tuo bastone e la tua verga mi danno sicurezza.

Non avrò paura. La ragione per non aver paura non è il fatto che non ci sia una valle dell’ombra della morte ma il fatto che Gesù, il buon pastore, è una realtà per affrontare i pericoli della vita. La paura è radicata dentro la nostra natura ma possiamo imparare a gestirla se iniziamo a confidare in Cristo e nel fatto che non ci lascia mai soli.

Proverbi 1:33:
“Ma chi mi ascolta starà al sicuro,
vivrà tranquillo, senza paura di nessun male”.

La ricetta contro l’ansietà e la paura è ascoltare la parola di Dio, i suoi consigli e le sue raccomandazioni. Nella psicologia moderna non c’è posto per questi consigli di Dio.

Nella Bibbia abbiamo una storia relativa al problema dell’ansietà, ed è l’esperienza di Abramo. Dio aveva promesso ad Abramo la terra di Canaan e gli aveva anche promesso che avrebbe avuto una discendenza numerosa come le stelle del cielo. Però gli anni passavano e il figlio promesso non arrivava. Abramo era un essere umano come tutti e iniziò a preoccuparsi; come si sarebbe potuta compiere la promessa divina se sua moglie era sterile? Da dove sarebbe venuta la discendenza promessa? Abramo era dominato dall’ansietà ma un giorno Dio gli apparve in visione e gli disse:

Dopo questi fatti, la parola del SIGNORE fu rivolta in visione ad Abramo, dicendo: «Non temere, Abramo, io sono il tuo scudo, e la tua ricompensa sarà grandissima». (Genesi 15:1).

Non aver paura! La paura, l’ansia continua che ti porta a pensare tutti i giorni a problemi che ancora non sono nemmeno arrivati, non ti porta a nulla di buono. In Deuteronomio 31:8 leggiamo:

“Il SIGNORE cammina egli stesso davanti a te; egli sarà con te; non ti lascerà e non ti abbandonerà; non temere e non perderti di animo”.

In che circostanza Dio fece questa promessa? La fece a Giosuè davanti alla sfida che doveva affrontare nel condurre il popolo d’Israele nella terra promessa. Giosuè era un uomo valoroso ma allo stesso tempo era anche un essere umano. Egli pensava ai pericoli che doveva affrontare, non erano ancora sopraggiunti ma egli era già preoccupato. Dio allora gli dice di non temere, di non perdersi d’animo, perché Dio stesso sarebbe stato davanti a lui preparando il cammino. 

Qual è la sfida, il problema, la preoccupazione che stai vivendo in questo momento? Oggi? Hai paura? Pensi che non riuscirai a superare il problema? A raggiungere il tuo obiettivo? Avrai difficoltà? Sicuramente, perché viviamo in un mondo di peccato. Ma tu non temere, perché Dio è con te.

Nella bibbia c’è un altro episodio riguardante la paura. Il popolo d’Israele si trovava di fronte a un nemico potente. Gli Ammoniti insieme ai Moabiti si erano uniti contro Israele. Il re era preoccupato ma Dio disse:

“Non sarete voi a combattere in questa battaglia; prendete posizione, state fermi e vedrete la liberazione dell'Eterno, che è con voi. O Giuda, o Gerusalemme, non temete e non sgomentatevi; domani uscite contro di loro, perché l'Eterno è con voi". (2 Cronache 20:17).

Qual è l’esercito che in questo momento hai bisogno di sconfiggere nella tua vita? Non temere, prendi posizione e lascia combattere Dio per te.
Consideriamo adesso cosa significa confidare nell’Eterno. Confidare in Dio è la soluzione contro l’ansietà. In Giovanni 14:1 leggiamo che Gesù disse:

“Il vostro cuore non sia turbato; credete in Dio e credete anche in me”.

Le persone ansiose in modo costante di solito si concentrano in:
·         Un 50% di eventi che non succederanno mai.
·         Un 25% di fatti accaduti nel passato e che non si possono cambiare.
·         Un 10% di critiche che non vengono confermate dagli altri.
·         Un 10% riguardo lo stato di salute (molti pensieri sono solo paure).
·         Un 5% di problemi reali che invece è giusto affrontare.

Come vedete nella maggior parte dei casi la nostra paura e la nostra ansia non sono fondati sulla realtà dei fatti ma su problemi immaginari e che non accadranno mai. È quella tendenza a pre-occuparsi prima del tempo. Chiediamo invece al Signore di insegnarci a “occuparci” dell’oggi, del presente così come Egli stesso ci ha consigliato nel vangelo di Matteo 6:34:

Non siate dunque in ansia per il domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno”.

Chiediamo a Dio di insegnarci ad essere contenti e soddisfatti dell’oggi senza un’eccessiva preoccupazione di quello che potrebbe succedere domani.Vi lascio con un bellissimo canto di Zigani: non sono solo. Buon ascolto!


20. BEATI SIETE VOI QUANDO VI INSULTANO E VI PERSEGUITANO PERCHE' CREDENDO FATE LA VOLONTA' DI DIO

Cari lettori, siamo giunti al commento dell'ultima beatitudine che possiamo leggere nel Vangelo di Matteo 5:10-12: "Beati i persegu...